Lo spazio verde privato: giardino, parco, orto
Una vasta area per il raccoglimento e lo svago, in seno alla campagna coltivata attorno.
Come si riscontra nella mappa catastale settecentesca, era suddivisa in varie parti accortamente disposte per un graduale scambio fra gli artifici dell’area privata e le coltivazioni naturali e utilitarie del terreno agricolo circostante.
Essa si formò indubbiamente per epoche successive, non solo in funzione della graduale crescita degli elementi vegetali quanto, piuttosto, in riferimento alla definizione del suo disegno.
Ricordiamo che ancora nel 1767 (testamento di Lorenzo Remesini Luzzara), era mancante la “prospettiva”, cioè la parte terminale, lo sfondo del parco-giardino.
La parte centrale in asse con la costruzione è definita più propriamente giardino, mentre le due ali laterali, ora scomparse, sono giardino-ortaglia, secondo modi propri del tempo.
Il settore giardino teminava con un semicerchio tracciato da un fossato, che si valicava al centro mediante un ponticello per immettersi nel brolo o frutteto. Ai lati di questo figuravano gli appezzamenti a vite.
Individuata la configurazione complessiva dell’ambiente, non ci è difficile ricostruire mentalmente l’immagine dettagliata, sulla scorta dei pur pochi indizi rimasti sul terreno: la zona a parterres fioriti, attorno alla scalinata che discende dal porticato; prato e raggruppamenti d’alberi verso la zona centrale ove in tempi avanzati venne formata la ghiacciaia; l’orlatura sopraelevata, al termine, secondo la linea curva del fossato, a sostegno di una architettura di verzura (forse una siepe educata a pilastri e archi), che definiva l’orizzonte oltre il quale si spingeva il brolo; gruppi di alberi ancora vegeti segnano il carattere studiato del luogo, assieme alle sopravvivenze dei filari che disciplinavano i percorsi, la separazione fra le zone e la loro specializzazione.
L’intervento di restauro ha reso possibile la restituzione di una immagine del giardino-parco recuperata culturalmente.
Soccorre allo scopo la conoscenza dei pur pochi dati fisici a nostra disposizione e dei dettami, sia teorici quanto pratici, relativi all’impianto e alla trasformazione dei giardini in tempi susseguenti, a partire dalla costruzione della dimora.
Sappiamo che l’edificazione di questa non comportò la formazione né automatica né rapida del giardino. Contemporaneamente rammentiamo che non possiamo volere ricostruire ma più semplicemente, sebbene non più facilmente, rintracciare elementi la cui validità ci consenta una composizione, immaginaria ma non inedita, tralasciando la deviante ricerca di un chimerico assetto originario. Attualmente non vi è più traccia di brolo, il fossato dal percorso semicircolare non scorre più dentro un rialzo o orlatura del terreno; rimane la ghiacciaia , molto ben conservata, e un accenno di montagnola a destra. Il rimanente è stato comprensibilmente spianato, mentre la parte a sinistra del sistema giardino è scomparsa con le costruzioni agricole. Falsati o spariti i percorsi presumibilmente alberati che racchiudevano le due grandi ali ad ortaglia con immaginabili bordature di cespugli fioriferi; inesistenti le aiuole ben tracciate che con tutta probabilità erano davanti alla scalinata. Disposizione possibile tenendo conto dei due grandi tassi di lato alla posizione della ghiacciaia. Il percorso del brolo era certamente una immagine vivace e suggestiva per il contrasto dei colori creato dai tronchi e dalle chiome degli alberi da frutto con le estensioni laterali a grano e festoni di piante a vite.
Il tempo in cui il giardino-parco di Villa Luzzara venne perfezionandosi, coincide con quella accumulazione di nozioni e di teorie che fanno del giardino settecentesco (sul declinare del secolo), uno dei momenti artisticamente più elevati. Quella dei giardini è una cultura specialistica e ripetibile: dall?Italia si era spostata in tutta Europa nel culmine della espansione degli ideali rinascimentali, per poi riprendere la propria supremazia di rievocazione classicista dopo aver accettato la contaminazione con gli schemi del giardino alla francese, esploso nel 1600. Una immissione di taglio inglese col giardino paesaggistico completava la rielaborazione fertile, completa, adattabili delle progettazioni e delle esecuzioni dei maestri italiani negli anni fra la fine del XVIII secolo e gli ultimi fasti ottocenteschi.
Le specie di alberi più in uso, anche in riferimento alla zona, erano i Carpini, i Tassi, gli Aceri, gli Ontani, i Cedri del Libano, i Tigli, gli Ippocastani; quanto ai cespugli da fiore venivano impiegati ampliamente le Rose, le Bocche di Leone, la Belladonna e altri, sino all’Ananasso, ai Limoni e agli Aranci, venivano mantenuti in vaso e riposti in serra nele stagioni fredde.
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